Replica alla risposta
alla
Lettera Aperta
di un medico omeopata
al Prof. Garattini
Milano, 10.03.2011
Agli autori degli editoriali della rivista Ricerca &
Pratica dell’Istituto Mario Negri,
Vi ringrazio per avermi inviato gratuitamente per posta
il n. 157 della vostra Rivista Ricerca & Pratica (Anno 27/
numero 1/gennaio-febbraio2011).
Nel ricevere la rivista sono rimasto piacevolmente
sorpreso, perché è una rivista ben fatta e con validi
contenuti. Allegato un bollettino di conto corrente, ma
nessuna lettera di accompagnamento, quindi in un primo
momento ho pensato che si trattasse di un’elegante forma di
invito ad abbonarsi.
Qualche giorno dopo ricevo da altre fonti una mail
contenente il file di un articolo pubblicato dalla vostra
rivista, che mi cita e risponde ad una lettera aperta che
scrissi al Prof. Garattini nella prima metà di Ottobre 2009
e che fu pubblicata anche dalla Stampa.
In quella lettera così concludevo:” Ciò che le chiedo
(riferito al prof. Silvio Garattini) è di non distruggere,
attraverso i media, una grande possibilità di cura per i
nostri malati, ma di cercare, assieme a noi, delle possibili
interpretazioni del fenomeno omeopatico.”
Recuperata rapidamente la vostra rivista giunta per
posta, di cui avevo letto solo le prime pagine, mi sono reso
conto che si trattava dello stesso numero, da qui ho
compreso il perché di tanta premura nell’inviarmi
gratuitamente la rivista.
Nella vostra risposta scrivete testualmente: "Noi non
sappiamo darci ragione dei successi che il suo gruppo ha
registrato. E’ lei che deve fornirla, seguendo il metodo che
oggi conosciamo come capace di documentare l’efficacia
e la sicurezza degli interventi medici. Diciamo 'deve' e non
'può', perché fa parte del dovere medico capire".
…
Avete assolutamente ragione, dovete anche sapere che nel
regolamento del Gruppo Me.Te.C.O., scritto nel 1998 è ben
espressa la necessità di scrivere progetti di ricerca da
sottoporre al comitato etico scientifico dell’Istituto.
Peccato, però, che per poter realizzare un progetto di
ricerca, correttamente preparato secondo tutti i criteri del
Metodo Scientifico, nonostante evidenze preliminari
consistenti, se si ha di fronte un comitato etico
scientifico che non utilizza appieno criteri scientifici, ma
si basa su sensazioni soggettive avverse dei singoli
componenti, allora anche il miglior progetto non potrà che
essere bocciato.
Un buon ricercatore, a mio giudizio, deve avere un
atteggiamento di tipo fenomenologico, se non vuole rovinare
la ricerca viziata dal suo desiderio di vederla sfociare in
una precisa direzione, quella del presupposto di partenza.
Anche chi giudica un progetto, però, deve avere un
atteggiamento scientifico, dunque deve leggere il progetto
secondo il pensiero fenomenologico per non correre il
rischio di essere influenzato da una sorta di blocco, dovuto
ai suoi pregiudizi soggettivi.
Vi chiedo quindi lo sforzo di valutare due nostri
progetti entrambi approvati dal Comitato Scientifico della
Regione Lombardia nell’ambito delle sperimentazioni sulle
terapie complementari, ma entrambi bocciati, uno da parte
del nostro comitato Scientifico indipendente, l’altro dal
nostro comitato Etico indipendente.
Comprendo dalla vostra lettera che è per me un dovere
dimostrare le ragioni dei risultati, a volte straordinari
ottenuti, allora , vi chiedo di giudicare e correggere
i progetti bocciati, così che, finalmente, anche il nostro
comitato Scientifico ed Etico indipendente, venga posto
nella condizione scientifica di accettarli.
Dalla vostra risposta, ammesso che ci sarà, potremo tutti
comprendere da che parte state veramente: dalla parte della
verità scientifica fenomenologicamente interpretata, o dalla
parte di una scientificità fatta da persone certamente
preparate, ma ipocrite e saccenti?
Ora vi pongo qualche quesito: ma voi avete
un’attività clinica? Visitate i malati? E un malato a cui
sia stato detto: “deve imparare a convivere col suo
problema”, l’avete mai guardato negli occhi? Avete mai perso
le notti per trovare una soluzione al suo problema fuori
dagli schemi della medicina occidentale che tutti abbiamo
studiato all’Università, ma che non ha alcuna soluzione al
suo problema?
Un’ultima cosa: Secondo voi è più importante il malato,
oppure “difendere se stessi e la scienza medica” piuttosto
che cercare una soluzione ad un problema clinico giudicato
irrisolvibile?
Infine, vi allego un breve elenco delle comunicazioni
scientifiche svolte in questi anni.
Resto in attesa di ricevere un cortese cenno di
riscontro.
I più cordiali saluti
Dr. Alberto Laffranchi