DIECI ANNI DI ESPERIENZA NELLA PREVENZIONE E NELLA CURA DELLE LESIONI DA RAGGI ACUTE E CRONICHE
Dr. Alberto Laffranchi, Dr. Giorgio Secreto,
Prof. Ing. Sergio Serrano(1)
Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori
V. Venezian, 1 - 20133 Milano
(1) Centro di Ricerche in Bioclimatologia Medica, Biotecnologie
e Medicine Naturali dell'Università degli Studi di Milano
V. Cicognara, 6 - 20129 Milano
Riferimento: Dr. Alberto Laffranchi
Specialista in Radiodiagnostica e Radioterapia
Abstract: gli autori in questo lavoro presentano i risultati di 10 anni di studi sulla cura e prevenzione dei danni da raggi utilizzando come terapie l'Ossigenoterapia in Camera Iperbarica, la Magnetotrerapia, l'Omotossicologia, l'Omeopatia e la Fitoterapia, variamente combinate tra loro a seconda delle circostanze.
La casistica si riferisce a 111 pazienti, 50 suddivisi tra osteradionecrosi (ORN) della mandibola non responsive all'ossigenoterapia in camera iperbarica e il trattamento delle lesioni cutanee acute, sub-acute e croniche, 61 trattati per la prevenzione delle lesioni da raggi.
I casi di guarigione delle ORN sono stati 15 su 24 casi esaminati, mentre il 100% di guarigione si è osservata nelle lesioni cutanee acute. Di rilievo il fatto che, grazie all'uso della magnetoterapia, nell'eritema bolloso la guarigione sia avvenuta contemporaneamente in tutti i punti delle lesioni, con restitutio ad integrum della cute, in tempi variabili tra i 5 giorni e le 4 settimane, ma con la netta riduzione della sintomatologia algica fin dalla prima seduta di trattamento.
Una parte del lavoro è stata dedicata alla prevenzione delle lesioni da raggi.
I risultati ottenuti sono di rilievo e ripetibili.
Parole Chiave: Osteoradionecrosi, Eritema da Raggi X, Radiodermite, Magnetoterapia, Omeopatia, Omotossicologia, Fitoterapia, Ossigenoterapia in camera iperbarica.
Un particolare ringraziamento per la collaborazione a:
Dr. Franco De Conno, Dott.ssa Augusta Balzarini, alle Fisioterapiste/i,
Dr. Luigi Costa, Dr. Stefano Podrecca,
Dott.ssa Vera Burghignoli e all'Ing. De Sanctis Vinicio
Dr. Roberto Molinari (2), Dr. Pietro Salvatori (2)
Dr. Paolo Montanaro (3)
Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori
(2) Istituto Ortopedico Galeazzi - Milano- UO di Chirurgia maxillo-facciale
(3) Casa di Cura San Pio X - Milano. Servizio di Radioterapia
TEN YEARS OF EXPERIENCE IN THE PREVENTION
AND TREATMENT OF ACUTE AND CHRONIC RADIATION-INDUCED LESIONS at the National Cancer
Institute, Milan
Dr. Alberto Laffranchi, Dr. Giorgio Secreto,
Prof. Ing. Sergio Serrano(1)
Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori
V. Venezian, 1 - 20133 Milano
(2) Centro di Ricerche in Bioclimatologia Medica, Biotecnologie
e Medicine Naturali dell'Università degli Studi di Milano
V. Cicognara, 6 - 20129 Milano
Corresponding author: Dr. Alberto Laffranchi, Istituto Tumori di Milano
Abstract. The results of a 10-year study on the treatment and prevention of radiation-induced damage are presented, using oxygen therapy in a hyperbaric chamber, magnetotherapy, homeopathy homotoxicology and phytotherapy, according to
circumstances.
We refer to 111 patients with either radionecrosis of the mandible not responsive to oxygen therapy or acute, sub-acute and chronic skin lesions. We also refer to the prevention of x-radiation-induced skin lesions, particularly erythema. The results obtained were substantial and repeatable following our treatment
schedules.
In 15 of the 24 patients with mandibular radionecrosis complete cure was obtained; complete cure was also obtained in all cases of acute skin lesions. Use of magnetotherapy in cases of erythema bullosum resulted in simultaneous healing of all parts of the lesions, with complete restoration of skin integrity in 5 days to 4 weeks, but with clear reduction of pain from the first treatment session.
Key words: Osteoradionecrosis, X-ray induced erythema, Magnetotherapy, Homeopathy, Homotoxicology, Phytotherapy, Oxygen
therapy.
The authors thank the following for their collaboration:
Dr. Franco De Conno, Dott.ssa Augusta Balzarini, alle Fisioterapiste/i,
Dr. Luigi Costa, Dr. Stefano Podrecca,
Dott.ssa Vera Burghignoli e all'Ing. De Sanctis Vinicio
Dr. Roberto Molinari (2), Dr. Pietro Salvatori (2)
Dr. Paolo Montanaro (3)
Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori
(2) Istituto Ortopedico Galeazzi - Milano- UO di Chirurgia maxillo-facciale
(3) Casa di Cura San Pio X - Milano. Servizio di Radioterapia
Premessa
Nel 1992
giunse alla nostra osservazione un paziente affetto da osteoradionecrosi
dell’emimandibola destra non responsiva all’ossigenoterapia
in camera iperbarica, complicata da frattura patologica, sequestro osseo e
fistola osteo-cutanea. Si prospettava come soluzione del problema
l’intervento di demolizione e ricostruzione dell’emimandibola. Sebbene
l’intervento chirurgico sembrasse essere l’unica strada percorribile
per risolvere il problema, basandoci sulla fisiopatologia delle
osteoradionecrosi, pensammo che valesse la pena di effettuare un estremo
tentativo conservativo con la magnetoterapia,
utilizzata come unica cura.
La
risposta, considerando che in Italia era la prima volta che veniva tentata
una cura di questo tipo per il trattamento dell’osteoradionecrosi, fu
sorprendente: in meno di un mese si osservò l’eliminazione del
sequestro e la fistola si chiuse. Entro tre mesi costatammo la comparsa di
piccolo, ma funzionalmente valido, ponte osseo (Fig. 1).
Questo è
stato il caso clinico che ha dato l’avvio all’introduzione da parte
nostra di nuovi criteri di cura delle lesioni da raggi, non fondati
esclusivamente su interventi chirurgici o farmacologici, ma basati
soprattutto su presupposti biofisici.
In
seguito, dal 1998, dopo la conferma dell’efficacia della magnetoterapia
su una decina di pazienti, abbiamo ritenuto importante affiancare, alle
terapie comuni a tutti i pazienti e ormai di provata efficacia, cure
personalizzate scelte in base alle situazioni cliniche uniche e peculiari
di ogni paziente.
A questo
scopo ai Campi Elettromagnetici abbiamo aggiunto i Farmaci Omeopatici, la
Fitoterapia, gli Integratori Alimentari e l’Ultrasuonoterapia,
variamente combinati tra loro, scelti di volta in volta in base alle
variazioni della sintomatologia presentata dai pazienti.
Lo
scopo di questo lavoro
è quello di illustrare, attraverso la sintesi dei casi clinici più
significativi, approcci terapeutici nuovi che basano la loro efficacia su
principi e meccanismi d’azione prevalentemente biofisici, per la cura e
prevenzione delle lesioni da raggi cutanee, mucose e scheletriche.
Introduzione
La
fisiopatologia dell’osteoradionecrosi
(ORN) delle ossa facciali è determinata dalla contemporanea presenza di
Ipovascolarizzazione, Ipocellularità e Ipossia tessutale (in inglese, le
tre H di Marx). Si manifesta di norma in un arco di tempo compreso fra i 3
ed i 27 mesi dal termine della radioterapia, ma non sono infrequenti casi
insorti dopo 5 o più anni.
La
prevenzione dell’osteoradionecrosi è significativa se attuata con
interventi mirati di bonifica dentale eseguiti prima della radioterapia.
L’estrazione
dentaria in un territorio precedentemente irradiato è la principale causa
scatenante dell’ORN.
Studi
mirati hanno dimostrato un’effettiva riduzione dell’incidenza dell’ORN
eseguendo sedute di ossigenoterapia
in camera iperbarica, prima e subito dopo l’avulsione
dentale, rispetto all’antibiotico terapia che non si è mai rivelata
efficace nel prevenire l’ORN (Marx).
La tossicità
delle radiazioni ionizzanti
utilizzate in terapia radiante, come è noto, è determinata dalla qualità
del fascio radiante, dal tipo dei tessuti inclusi nel campo di
radioterapia, dalla dose per frazione, dalla dose totale e dalla
sensibilità alla radioterapia dei singoli tessuti coinvolti.
Gli effetti
acuti della
radioterapia su cute e mucose consistono generalmente nella risposta
infiammatoria, eritema cutaneo, pigmentazione o mucosite. Questo tipo di
lesioni è più frequente nella radioterapia palliativa, dove spesso sono
richieste alte dosi giornaliere da somministrare in 1 o 2 settimane.
I danni
tardivi possono
insorgere a distanza di anni dal termine della radioterapia, anche in
territori dove in precedenza non si erano osservate lesioni acute. Sono più
gravi se colpiscono tessuti con scarsa capacità rigenerativa, come il
cervello, i nervi periferici ed il polmone. La fibrosi è il tipo di danno
tardivo più comune e si può osservare in numerosi tessuti, compresa la
cute.
Perché
alla presenza di lesioni da raggi potrebbe essere utile la magnetoterapia?
MAGNETOTERAPIA
DI RISONANZA
Le
cellule costituenti i tessuti dell’Organismo hanno forma diversa secondo
il tessuto biologico al quale appartengono. Tale diversità di forma
provoca una differenza nella polarità di membrana, una differenza nella
corrente endogena che le attraversa, e quindi una differenza anche nel
campo magnetico a loro associato.

Il campo
magnetico cellulare è strettamente legato alla massa-forma della cellula
in esame. Una dimostrazione pratica di tale realtà è la RNM
(Risonanza
Magnetica
Nucleare)
che riesce a creare immagini dei tessuti in esame discriminando il diverso
campo magnetico endogeno di ogni cellula.
In
magnetoterapia di risonanza le cellule del tessuto bersaglio vengono
sollecitate con campi magnetici esterni che hanno le stesse
caratteristiche fisiche dei campi magnetici endogeni alle cellule stesse.
Nella
progettazione dei campi magnetici terapeutici occorre tener presente che
si agisce su tessuti biologici vivi e che le caratteristiche dei campi
magnetici cellulari sono in continua evoluzione, seguendo il progetto di
salute o di malattia dell’Organismo (Omeostasi biochimica/energetica).
A
questo proposito, occorre utilizzare i concetti della teoria dei frattali
che ci consente di valutare con che precisione sia necessario realizzare i
campi magnetici terapeutici rispetto alle caratteristiche dei campi
magnetici bersaglio. In questa fase è importante considerare come il
comportamento dei sistemi complessi, quali quelli biologici, segua regole
di non linearità che descrivono il continuo cambiamento dei sistemi
stessi.
Tale
cambiamento, quando è fisiologico, è sempre soggetto a controllo. Sulla
base di modelli matematici, si possono descrivere le evoluzioni
(traiettorie) dei sistemi dinamici secondo il concetto di attrattore che
descrive compitamente, seppur in modo statistico, le tendenze biologiche
dei parametri in studio.
Per
concludere è possibile realizzare campi magnetici terapeutici di
risonanza in grado di spingere il tessuto biologico bersaglio verso lo
stato di equilibrio biodinamico opportuno che corrisponde allo stato di
omeostasi energetica/biochimica compatibile con lo stato di salute del
paziente.
Le
apparecchiature presenti in commercio e da noi utilizzate sono costituite
da una centralina di comando e da un’antenna periferica che emette campi
elettromagnetici pulsati a bassa intensità e frequenza.
Sintesi
degli effetti dei Campi Magnetici pulsati che abbiamo giudicato
particolarmente importanti per i nostri scopi:
-
effetto
anti-infiammatorio,
-
stimolo
riparativo indotto dai campi elettromagnetici sul tessuto osseo,
-
azione
angiogenetica,
-
effetto
ossigeno.
Se confrontiamo gli effetti
biologici della magnetoterapia con la fisiopatologia delle lesioni da
raggi, non possiamo che constatarne la corrispondenza.
E’ su queste basi che
abbiamo costruito il nostro approccio terapeutico, sia per il trattamento
delle osteoradionecrosi, sia successivamente, per la cura delle lesioni
acute e croniche di cute e mucose.
Perché
utilizzare farmaci di derivazione omeopatica?
Dal
1998 abbiamo iniziato ad utilizzare farmaci omotossicologici. L’omotossicologia
è una scienza medica relativamente nuova, nata in Germania negli anni
trenta e ideata da Hans Heinrich Reckeweg (1905-1985), medico, musicista,
ricercatore di biologia all’Università di Berlino, contemporaneo e
collega di Krebs. Letteralmente omotossicologia
sta per “studio
delle intossicazioni dell’uomo” partendo da
un’interessante considerazione Reckeweg ha rivisto il concetto di
malattia proponendo un’originale, quanto efficace definizione: la
malattia altro non è che l’espressione di modalità, geneticamente
determinate e dipendenti dal sistema immunitario, che l’organismo mette
in atto per eliminare uno stato tossico. Questa definizione,
apparentemente semplice e forse scontata, racchiude in sé una vera
rivoluzione nell’approccio terapeutico. Infatti, seguendo questo
ragionamento, possiamo cominciare a intravedere la malattia sotto una
nuova luce, considerandola come una tappa necessaria affinché un
organismo malato possa eliminare le sostanze tossiche, definite da
Reckeweg “omotossine”. Secondo questa visione, qualunque organismo è
continuamente attraversato da un’enorme quantità di tossine esogene
(batteri, virus, tossine alimentari, fattori di inquinamento ambientale,
ecc.) ed endogene
(prodotti intermedi dei diversi metabolismi, cataboliti finali, ecc.).
Se
questo è vero, si può pensare che la modalità corretta di terapia non
sia quella di utilizzare farmaci che agiscono elettivamente bloccando i
meccanismi della nostra difesa, atti a promuovere le varie fasi della
malattie.
Come
esempio consideriamo un gruppo di farmaci di larghissimo consumo, forse il
più studiato scientificamente e che tutti conosciamo: i derivati
dell’acido salicilico, il più noto dei quali è l’acido
acetilsalicilico.
Come
agiscono i salicilati?
In
vitro i salicilati hanno evidenziato le seguenti azioni: inibizione della
liberazione di istamina, stabilizzazione delle membrane lisosomiali,
azione chemiotattica e inibente la sintesi delle prostaglandine,
interferenza con la fosforilazione ossidativa; in vivo essi antagonizzano
i farmaci ad azione uricosurica, provocano ipoprotrombinemia (reversibile
dopo somministrazione di Vitamina K1). Per queste
caratteristiche l’acido acetilsalicilico ha azioni analgesica,
antipiretica, antiflogistica (o antireumatica) e antiaggregante
piastrinica. Inoltre, può provocare iperglicemia per riduzione delle
glicolisi aerobica, aumento delle glicogenolisi epatica e dell’attività
corticosurrenale. A dosi elevate può dare diminuzione della
colesterolemia, della glicemia e dell’uricemia, ma ai dosaggi
terapeutici più facilmente può dare ritenzione di urati.
Tossicità
dei salicilati: nausea, vomito e gastralgia sono gli effetti
collaterali principali. Questi sintomi sono l’espressione di fenomeni di
irritazione o di vere e proprie lesioni (erosioni) a carico della mucosa
gastrica indotte da turbe della microcircolazione e della secrezione di
muco, che possono portare all’emorragia microscopica o macroscopica al
perdurare della cura. E’ noto che queste alterazioni sono presenti in
quasi la totalità dei pazienti che assumono i salicilati.
Riassumendo,
abbiamo imparato ad utilizzare l’acido
acetilsalicilico in un dolore articolare dovuto ad una
patologia infiammatoria artritica, che ne rappresenta l’indicazione
elettiva, per le sue azioni antiflogistica e analgesica. In altri termini,
lo utilizziamo perché sappiamo che la sua
azione determina il blocco dei meccanismi fisiopatologici che inducono lo
stato flogistico ed il conseguente dolore.
E’
a questo punto che l’omotossicologia
diverge dalla Medicina studiata all’Università e da noi
applicata routinariamente. Infatti, riprendendo il discorso
dell’intossicazione, Reckeweg ci suggerisce che una qualunque
manifestazione patologica, ad esempio lo stato infiammatorio di
un’artrite, altro non sia che una specifica espressione fisiopatologica
dell’organismo, messa in atto nel tentativo di eliminare un generico “stato
tossico”. Utilizzare l’acido acetilsalicilico, dunque
somministrare un farmaco sintomatico che agisce “bloccando” i
meccanismi fisiopatologici che inducono la flogosi, potrà dare solo
sollievo temporaneo, ma non eliminare la causa di fondo, che è, secondo
questa originale interpretazione, lo stato tossico. Il suo persistere
provocherà, prima o poi, un nuovo attacco artritico, oppure un’altra
malattia, magari etiologicamente diversa dalla prima, ma che per il nostro
sistema immunitario assume lo stesso valore: promuovere l’eliminazione,
attraverso una malattia, dello stato tossico presente.
Fatta questa
breve introduzione sul significato dell’omotssicologia, sorge spontanea
una domanda: ma si può davvero guarire utilizzando solo i rimedi
Omeoptici e quelli Omotossicologici?
Non
bisogna dimenticare che Reckeweg è un medico e per questo il suo operare
non può prescinde dai criteri di inquadramento etiopatogenetico della
Medicina. Il primo passo è la formulazione di una diagnosi; questa a sua
volta viene raggiunta attraverso l’identificazione delle cause, delle
condizioni soggettive, alimentari ed ambientali, che possano aver
favorito l’insorgenza di una malattia (agenti infettivi, sostanze
tossiche inalate, intolleranze alimentari, situazioni stressanti, ecc.).
Ciò
che veramente differisce e rende l’omotossicologia una scienze medica
del tutto peculiare è, dunque, la terapia. La terapia omotossicologica
consiste nell’eliminare le cause dello stato tossico agendo
sull’alimentazione, sull’ambiente e, se possibile, somministrando sostanze
farmacologiche complesse di derivazione omeopatica, al fine di provocare
la disintossicazione dell’organismo e riparare gli eventuali danni
causati dalle tossine.
Lo stato di salute dunque,
secondo questa visione, coincide con l’assenza di una condizione di
intossicazione e il mantenimento di un sistema di flusso in equilibrio
dinamico, in accordo con la teoria di von Bertanlanffy che definisce un
organismo vivente, appunto, un sistema
di flusso in equilibrio dinamico.
Materiali
e metodi
La nostra casistica comprende
111 pazienti di cui 50 trattati per la presenza di lesioni da raggi tra
acute e croniche e 61 trattati per la prevenzione delle lesioni cutanee e
mucose.
Dei 50 pazienti con lesioni,
24 pazienti erano affetti da osteoradionecrosi della mandibola (Fig. 1, 2,
3, 4, 5) osservati fra il 1992 ed il maggio ’02; 16 pazienti
presentavano eritema bolloso della cute (Fig. 7, 8, 9, 10, 11); 4 lesioni
cutanee sub-acute (Fig. 12, 13, 14); infine, 6 pazienti avevano sviluppato
lesioni croniche da raggi di mucose e cute (fig. 15).
Il trattamento preventivo
delle lesioni da raggi è stato effettuato su 61 pazienti, di cui 43
irradiate alla mammella (Fig. 16); 4 irradiati per linfoma con
localizzazioni cervicale e mediastinica (Fig. 17); 6 irradiati per
neoplasia della prostata; 2 irradiate per tumore della mammella su un
territorio precedentemente già trattato con radioterapia per patologie
maligne mediastiniche (Fig. 18, 19).
Trattamento
delle osteoradionecrosi (ORN).
In
tutti 24 pazienti la terapia di base è stata la magnetoterapia, eseguita
a domicilio con apparecchiature portatili che erogano una frequenza di
24/50 Hz con densità di campo di 10/50 Gauss.
La
terapia standard ha previsto due sedute di 30’/die per 5
giorni/settimana, per 3/12 mesi.
Il dolore, le fistole e le
lesioni ossee sono state controllate periodicamente con visite cliniche,
panoramiche dentali e in alcuni casi RM e TC. Tutti i pazienti al momento
della nostra osservazione erano stati pre-trattati con Ossigeno Terapia in
camera Iperbarica (O.T.I.), senza ottenere apprezzabili risultati.
Nessun paziente ha sospeso la
cura per effetti avversi. Il Follow up è stato di 12/120 mesi.
Tre pazienti hanno manifestato
ripresa evolutiva della malattia neoplastica entro sei mesi dall’inizio
della magnetoterapia e la cura è stata interrotta.
Una paziente è andata
incontro a recidiva neoplastica locale tre anni dopo la cura, senza segni
di ripresa di ORN.
Un
paziente ha manifestato localizzazioni di malattia in sede
latero-cervicale contro-laterale tre anni dopo le cure ed è deceduto a
distanza di 5 anni dalla prima recidiva, senza aver mai manifestato segni
di ripresa di ORN.
Un paziente, dopo 5 mesi di
cura, è stato operato di demolizione/ricostruzione dell’emimandibola
destra, per il persistere della fistola osteocutanea.
Un
altro paziente, grazie alle cure eseguite per 4 mesi, ha potuto essere
operato di demolizione dell’emimandibola, intervento che non era
ritenuto realizzabile prima della cura.
Tre
pazienti sono attualmente in trattamento.
Nei
restanti 14 pazienti si è osservata la guarigione delle ORN senza segni
di ripresa evolutiva della
malattia neoplastica (Fig. 1, 2, 3, 4, 5). Per tutti il trattamento di
fondo è stato l’uso della magnetoterapia, ma situazioni individuali
specifiche sono state via via risolte con terapie specifiche, adattate ad
ogni singola situazione clinica. Infatti, grazie all’esperienza che
abbiamo maturato in questi ultimi dieci anni e
a quanto sottolineato dalla letteratura, abbiamo identificato nuove
vie per indurre la guarigione delle ORN, dove possibile senza il
ricorso ad interventi chirurgici, mediante procedure
mediche che prevedono l’uso di farmaci omeopatici e l’ultrasuonoterapia.
I
miglioramenti del trisma, quando presente, sono stati trascurabili.
Riteniamo
importante sottolineare che, in presenza di ORN, la perdita della normale
continuità del rivestimento della mucosa gengivale, con esposizione
dell’osso, rappresenta un segno clinico inequivocabile della persistenza
di tessuto necrotico. La mucosa può, infatti, riformarsi solo su un
terreno vitale. Per queste ragioni l’eliminazione dei sequestri ossei o
dei denti danneggiatati dalla radioterapia, rappresenta un momento
fondamentale imprescindibile per la
guarigione delle ORN. D’altro canto, però, l’asportazione chirurgica
di residui dentali o frammenti di sequestri ossei, espone il paziente a
gravi rischi d’infezione locale ed è la causa scatenante delle ORN.
Marx
e c. nella metà degli anni
ottanti, per primi, hanno dimostrato che l’ossigeno terapia in camera
iperbarica eseguita prima e dopo l’estrazione dentale è in grado di
prevenire l’insorgenza dell’ORN, mentre l’antibiotico terapia non si
è mai dimostrata efficace in questo senso. Lavori successivi hanno
evidenziato come l’O.T.I. sia in grado di far regredire la fibrosi
tissutale e le teleangectasie conseguenti alla radioterapia.
Tutti
i pazienti presentati in questo lavoro erano già stati curati mediante
sedute di O.T.I., ma non avevano ottenuto i risultati sperati, così come
descritto in dettaglio nelle figure (1, 2, 3, 4, 5), anzi, in alcuni casi,
l’O.T.I. ne aveva aumentato le reazioni flogistiche.
Un
giovane paziente (Fig. 2), già trattato per due anni con 180 sedute di
O.T.I. per ORN bilaterale della mandibola, esposizione ossea, fratture
patologiche multiple, fistole mucose, era stato candidato alla demolizione
dell’intera mandibola. Dall’inizio della magnetoterapia il paziente si
era accorto di una rapida modificazione della sintomatologia. Lentamente,
nell’arco di un anno e mezzo, si è assistito all’eliminazione
progressiva dei sequestri, di denti necrotici e alla completa formazione
della mucosa gengivale. Successivamente, a completa risoluzione dei
fenomeni necrotici e rigenerazione della mucosa gengivale, dopo
l’estrazione dentale di tutti i denti residui presenti alle arcate
inferiori, è stato sottoposto con successo a tre cicli di Pamidronato
disodico per favorire la rigenerazione del tessuto osseo. Questo ha
consentito di applicare alle arcate inferiori una protesi unica a stampo,
funzionalmente ed esteticamente valida.
Nel
paziente della fig. 3, trattato per oltre un anno con magnetoterapia per
ORN conseguente alla radioterapia eseguita 18 anni prima come unica
terapia per un linfoma osseo, abbiamo dimostrato, grazie all’uso di
un’amperometro professionale, che il riformarsi della necrosi ed il
dolore presenti all’emimandibola destra, avevano come causa del loro
mantenimento, la presenza di correnti endorali prodotte dal ponte osseo.
L’eliminazione del ponte ed il courettage dell’osso hanno risolto il
problema. In questo paziente ci
è sembrato che la megnetoterapia, utilizzata a lungo, abbia avuto un
ruolo utile nel prevenire una ricaduta di ORN dopo l’avulsione del ponte
ed il courettage dell’osso mandibolare. Situazioni chirurgiche note
perché fortemente favorenti l’insorgenza delle ORN.
Anche
la paziente della Fig. 4, per la comparsa di ORN all’emimandibola destra
e flemmone cutaneo, era stata proposta per la demolizione dell’emimandibola.
E’ stata la prima paziente a cui abbiamo associato alla magnetoterapia i
farmaci omeopatici. In poco più di un mese dall’inizio
della’associazione terapeutica antibioticoterapia, magnetoterapia e
farmaci omotossicologici si è assistito alla completa risoluzione del
flemmone; dopo soli 5 mesi dall’associazione magnetoterapia e farmaci
omotossicologici si è osservata la scomparsa dell’otomastoidite destra
che era presenta da 5 anni ed in meno di un anno alla guarigione della
necrosi ossea.
In
una paziente (Fig.5) in trattamento con O.T.I., farmaci omeopatici e
magnetoterapia, che presentava frattura patologica, fistola osteocutanea,
constatando la persistenza dei sequestri ossei e dentali, abbiamo ritenuto
utile utilizzare l’Ultrasuonoterapia
per favorire il riassorbimento delle componenti necrotiche e
l’eliminazione dei sequestri. La risposa a questa nuova ipotesi di
trattamento è stata sorprendente, infatti, in poco meno di un mese di
terapia la paziente ha spontaneamente eliminato tutti i sequestri, la
fistola si è completamente chiusa e nei due mesi successivi abbiamo
assistito alla ricostruzione della mucosa gengivale, segno di risoluzione
del processo necrotico.
Dall’esperienza
del trattamento delle ORN non responsive all’O.T.I. sopra esposta,
abbiamo potuto derivare alcuni orientamenti terapeutici. Il trattamento da
seguire, così come confermato dalla letteratura, non può essere
standard, ma occorre adattarsi alle situazioni cliniche che via via si
presentano. Il nostro attuale orientamento è quello di eseguire come
terapia di base la magnetoterapia, eventualmente
associata all’O.T.I.; in caso di flogosi utilizziamo terapie omotossicologiche per
favorire la reattività individuale verso le infezioni batteriche ed in
particolare da stafilococco (agente patogeno più frequentemente
riscontrato); in presenza di sequestri ultrasuonoterapia.
E’,
infine, utile intervenire sull’alimentazione, eventualmente anche con
l’aggiunta di integratori alimentari, qualora si constatassero segni di
malnutrizione dovuti alle notevoli difficoltà di alimentazione che questi
pazienti possono presentare.
Trattamento
dell’eritema bolloso
A
partire dal maggio 1999 abbiamo trattato 20 pazienti consecutivi affetti
da lesioni cutanee acute e
sub-acute da raggi.
4
pazienti presentavano epiteliolisi (Fig.
), 12 eritema bolloso (Fig. ),
4 eritema con aree necrotiche (Fig. 13, 14).
Al momento della nostra
osservazione, 17 erano donne in trattamento locale per neoplasia mammaria.
Di esse 11 pazienti (Fig. 10) non avevano ricevuto altri trattamenti oltre
alla terapia topica con pomate a base di cortisone, 8 pazienti, tutte
sottoposte a radioterapia per neoplasia mammaria, erano in trattamento
topico con fitostimoline da 7 giorni, senza beneficio sul dolore e,
infine, una paziente, con una grande (18 x 18 cm) lesione a stampo della
parete toracica, era stata trattata per 4 settimane con terapia laser
elioneon, senza esito (fig.11).
Abbiamo, inoltre, trattato un
uomo anziano con lesione al mento dopo Roёntgen terapia per
basalioma (fig. 7), un ragazzo irradiato al gomito (fig. 8) dopo
intervento chirurgico per sinovialsarcoma ed in trattamento chemioterapico
e infine una signora irradiata alla coscia (fig. 9) dopo intervento
chirurgico per rabdomiosarcoma.
Tutti e venti i pazienti erano
stati pretrattati con creme cortisoniche durante la radioterapia, allo
scopo di prevenire o curare l’eritema da raggi.
Per
tutti i pazienti abbiamo interrotto ogni tipo di trattamento in corso ed
abbiamo immediatamente iniziato un nuovo regime terapeutico, identico per
18 dei 20 pazienti:
risciacqui
con una soluzione di citrato di sodio e saccarosio al 6%, seguita
immediatamente da una seduta di 30’ con magnetoterapia a solenoide, 50
Hz e 45 Gauss per 5 giorni la settimana.
L’uomo
affetto da lesione al mento (Fig. 12) aveva utilizzato risciacqui di acqua
borica al 3%. Nessuno dei 20 pazienti ha dovuto sospendere il trattamento
e tutti ne hanno tratto beneficio.
In
tutti i casi abbiamo osservato una rapida riduzione del dolore fin dalla
prima seduta, con risoluzione completa entro sette giorni dall’inizio
della cura.
Nei
4 casi di semplice epiteliolisi (Fig. 6) la risoluzione con “retitutio
ad integrum” della cute si è ottenuta entro i 5 giorni di cura.
Nei
12 pazienti con eritema bolloso e nei 4 con eritema ed aree necrotiche, si
è osservata una visibile risposta iniziale alla cura già nei primi tre
giorni di trattamento, e la completa guarigione, con “restitutio ad
integrum” della cute, in un lasso di tempo variabile fra i 7 ed i 30
giorni, dall’inizio della cura.
Nella
maggioranza dei pazienti la
guarigione è avvenuta contemporaneamente in tutti i punti delle lesioni,
passando direttamente dall’erosione dello strato epidermico
superficiale, alla formazione completa del tessuto cutaneo, senza
passare attraverso la fase di crosta e, soprattutto, senza
lasciare segni o cicatrici.
Abitualmente
la guarigione delle ampie ferite cutanee, anche nelle lesioni da raggi
segue, invece, l’evoluzione descritta da Ranvier nella seconda metà del
XIX secolo: il processo di guarigione inizia dalla periferia per
interessare, successivamente, il centro delle lesioni, passando attraverso
la fase della crosta, alla cui caduta si osserva la sottostante comparsa
di tessuto cutaneo sottile e di colorito roseo.
Solo
in 6 pazienti si è osservata la formazione di una parziale pseudo-crosta
all’interno dell’area ulcerata (fig. 8), senza che tuttavia vi fossero
differenze nella durata della sintomatologia, anche se i tempi di
guarigione sono sembrati più lunghi del 25% (una settimana in più).
Trattamento
delle lesioni croniche della cute
In
questo campo la nostra esperienza è limitata a 6 pazienti, di cui due
trattati con magnetoterapia e farmaci omeopatici (Fig. 15), 4 solo con
farmaci omeopatici e integratori alimentari.
5
pazienti erano portatrici di lesioni, conseguenti alla radioterapia della
mammella o della regione sovraclaveare, avvenuta almeno otto anni prima;
la sesta paziente, in conseguenza alla radioterapia subita per un tumore
ulcerato del canale anale, giudicato inoperabile, era portatrice, da oltre
nove anni, di gravissime lesioni del piano perineale, molto dolenti e
complicate da escare necrotiche, curate solo con pomate cortisoniche e
farmaci analgesici.
In
tutti i casi, la risposta sul dolore è stata abbastanza rapida (2/3 mesi)
e si è osservata una buona ricostruzione del tessuto cutaneo o mucoso in
cinque/sei mesi.
Si
è utilizzato un gruppo di farmaci di tipo omotossicologico, comune a
tutti i pazienti, cui però sono stati aggiunti preparati omeopatici
unitari scelti individualmente secondo la “qualità” del dolore o
l’aspetto della lesione, seguendo criteri puramente omeopatici come ad
esempio prurito sempre associato a bruciore, segni
che suggeriscono l’uso di Radium Bromatum ecc.
Quattro
pazienti permangono esenti da lesioni a 24 mesi.
Due
pazienti hanno avuto una parziale ricaduta delle lesioni, una a 12 mesi
dal termine della cura, l’altra a 36 mesi dalla guarigione clinica, a
quattro mesi dalla sospensione volontaria dei farmaci omeopatici di
mantenimento.
I
criteri di scelta farmacologici comuni sono stati quelli di consigliare
una modificazione della dieta, l’introduzione di integratori alimentari
ad azione antiossidante, l’assunzione di farmaci omotossicologici
“disintossicanti”, oltre a prodotti con azione vascolare e di stimolo
sugli apparati renale ed epato-pancreatico.
I
farmaci “soggettivi”, scelti in base alle modalità di presentazione
del dolore e variamente combinati tra loro sono ANTHRACINUM, ACIDUM
NITRICUM, CAUSTICUM, RADIUM BROMATUM e due pomate a base di ARNICA e
CAMOMILLA.
Trattamento
preventivo delle lesioni cutanee
Abbiamo
utilizzato dei criteri di prevenzione delle lesioni cutanee da raggi su 61
pazienti, di cui 49 per neoplasia mammaria, 4 casi di linfoma del collo e
mediastino alto, 6 tumori della prostata e, infine, 2 casi irradiati alla
mammella in un territorio già trattato in precedenza per forme
neoplastiche coinvolgenti il mediastino.
Questi pazienti sono stati
trattati con tre differenti modalità, ma con in comune l’uso topico di
una pomata alla camomilla somministrata due volte al giorno, dopo la
radioterapia e non meno di 4 ore prima della seduta radiante.
Delle
49
pazienti in terapia per neoplasia mammaria, 17 sono state trattate con la sola
pomata alla camomilla; secondo i criteri RTOG/EORTC, di queste
pazienti 7
hanno avuto un eritema di grado 1, 10 di grado 2, di cui 7 con
desquamazione umida non confluente.
Le
restanti 32,
invece, sono state trattate con pomata
alla camomilla preceduta da risciacqui con acqua borica al 3%;
di esse 26
hanno sviluppato eritema di grado 1 (Fig. 16), 5 eritema acuto di grado 2 e in un caso si è osservata la
formazione di una piccola epidermolisi cutanea alla ventesima seduta,
regredita poi rapidamente senza alcun’interruzione del trattamento
radiante, sospendendo prudenzialmente per qualche giorno solo l’uso
dell’acqua borica e portando a quattro le applicazioni quotidiane della
pomata a base di camomilla.
I 4
casi di linfoma, i 2
casi di trattamento della mammella su cute già irradiata ed
i 6 casi di neoplasia prostatica sono stati trattati col
seguente schema: al mattino 10 gocce prodotti omotossicologici alcolici ad
azione disintossicante, RADIUM BROMATUM e, infine, escludendo i 6 pazienti
con neoplasia prostatica, risciacqui con acqua borica al 3% per tre volte
al giorno e applicazioni di pomata alla camomilla dopo e almeno 4 ore
prima della radioterapia sulla cute irradiata.
Nei
4
casi di linfoma che prevedevano l’irradiazione anche della metà
inferiore del volto, si è avuta una discreta (3/4) o marcata (1/3)
pigmentazione della cute, senza segni di desquamazione. Nessuno dei 4
pazienti ha avuto mucositi, mentre tutti hanno avuto una riduzione della
salivazione con formazione di saliva densa, oltre ad alopecia alla nuca (Fig.
17).
Le
due pazienti irradiate alla mammella e già trattate in precedenza per
lesioni neoplastiche mediastiniche, hanno avuto un eritema cutaneo pari a
0 secondo la valutazione RTOG/EORTC.
Nei
6 pazienti trattati per neoplasia prostatica i disturbi da loro dichiarati
sono stati molto modesti e caratterizzati da disuria e proctalgia insorte
nelle ultime fasi del trattamento e risoltesi in pochi giorni dal termine
della cura.
In
nessuno dei 61 pazienti sono stati osservati effetti avversi alla terapia,
né ha dovuto sospendere il trattamento radiante. Tutti sono stati
invitati a proseguire il trattamento, così come era stato loro impostato,
almeno per altre quattro settimane dal termine della radioterapia, meglio
se per otto, con la finalità di ridurre l’entità della pigmentazione
cutanea e di favorire il ripristino dell’omeostasi dei tessuti
irradiati.
Discussione
Escludendo
i pazienti che hanno avuto la ripresa della malattia neoplastica, tutti
gli altri hanno ottenuto vantaggi di vario grado ed in tempi diversi,
dall’uso delle terapie proposte in questo studio.
Miglioramenti
costanti e nel 100% dei casi sono stati ottenuti nelle lesioni acute.
Molto
diverse e particolarmente significative ci sembrano le risposte cliniche
ottenute nei pazienti cronici che da anni lottavano per guarire da lesioni
da raggi altamente invalidanti. Ci riferiamo in particolare alle
guarigioni delle osteoradionecrosi non responsive all’Ossigenoterapia in
camera iperbarica e ormai avviate all’amputazione e alla paziente con
escare necrotiche del piano perineale presenti da oltre nove anni.
In
tutti questi casi ci siamo trovati di fronte a pazienti molto provati che
non riuscivano ad immaginare una soluzione al loro problema, dopo lo
scoraggiante e costante fallimento di qualunque approccio terapeutico fino
ad allora tentato. La gravità
e drammaticità della situazione è sottolineata dal fatto che almeno
cinque pazienti ci hanno successivamente confidato che in loro iniziavano
a farsi strada pensieri di tipo suicida.
I criteri guida che ci hanno
spinto alle scelte terapeutiche proposte in questo studio, mai tentate
prima in queste combinazioni da nessun gruppo di ricerca, sono
primariamente legate alla fisiopatologia
delle lesioni da raggi ed in particolare al danno che è comune
a tutte le lesioni, cioè il danno
vascolare.
I campi magnetici sono stati
utilizzati, come sopra riportato, per gli effetti anti-infiammatorio,
osteogenico, angiogenico e per l’effetto ossigeno.
I
farmaci omeopatici e omotossicologici, oltre che per gli effetti sul
sistema circolatorio, sono stati utilizzati per favorire la
disintossicazione dell’organismo, stimolare le funzionalità
digestiva-epato-pancreatica e renale.
Poiché
i danni da raggi sono dose dipendenti, sebbene possano manifestarsi in
tempi differenti da paziente a paziente, riteniamo che anche per
l’omeopatia si possano stilare linee guida che suggeriscano l’uso
degli stessi prodotti per quasi tutte le situazioni cliniche esposte in
questo lavoro.
La
dieta ed eventuali integratori alimentari sono utili per minimizzare le
possibili carenze alimentari e per un’azione anti-ossidante e potranno
essere di volta in volta prescritte.
L’ultrasuonoterapia,
con energia di 3Watt/cm2, è stata utilizza per ora in tre
casi, di cui uno concluso con successo, mentre due sono attualmente in
trattamento, per indurre un più veloce riassorbimento delle zone
necrotiche dell’osteoradionecrosi e favorire così l’inizio della
ricostruzione tissutale.
Conclusioni
I
risultati ad oggi ottenuti ci consentono di orientarci in un modo nuovo
rispetto a quanto presentato in letteratura, sia nella prevenzione delle
lesioni da raggi, sia nel trattamento delle lesioni acute, sia per la
terapia delle lesioni croniche.
I
trattamenti preventivi sono facilmente ripetibili e per questo ne
consigliamo l’uso, anche per avere conferma della loro efficacia su un
campione più vasto di pazienti, secondo le modalità che verranno fornite
agli interessati che ne faranno richiesta ed ai quali verranno inviati i
moduli necessari per la raccolta dati.
Il
trattamento preventivo che ci è parso più efficace e che definiamo trattamento
base è l’associazione di risciacqui con acqua borica al 3%,
utilizzabile solo su cute integra, seguita da applicazioni di pomata alla
camomilla.
Nei
casi in cui si possa prevedere un’alta incidenza di lesioni acute, come
ad esempio nei pazienti già irradiati nella stessa sede o per le modalità
della radioterapia scelta, abbiamo osservato una certa utilità della
terapia combinata costituita dall’integrazione di un trattamento
omotossicologico disintossicante, RADIUM BROMATUM e applicazioni di pomata
alla camomilla.
Qualunque
sia il trattamento intrapreso, c’è parso utile proseguirlo almeno per
quattro, meglio se per otto settimane dal termine della radioterapia.
Anche
per le lesioni cutanee acute il trattamento è facilmente standardizzabile
e consiste nell’uso di risciacqui con acqua borica al 3%, se non sono
presenti soluzioni di continuo del profilo cutaneo, oppure con una
soluzione acquosa di citrato di sodio e saccarosio al 6% in presenza di
soluzioni di continuo della cute, entrambe in associazione a sedute
quotidiane di magnetoterapia della durata di 30’.
Più
complessa la standardizzazione del trattamento delle osteoradionecrosi e
delle lesioni cutanee croniche perché oltre alla terapia di fondo, sempre
ripetibile e costituita dalla magnetoterapia, potranno via via essere
utilizzati provvedimenti dietetici, integratori alimentari, farmaci
omeopatici, ultrasuonoterapia, seguendo criteri non fissi, né fissabili
in un protocollo, ma gestiti in base alla condizione locale e generale del
paziente in cura, oltre che all’esperienza e competenza del medico
curante.
Come
riflessione finale vorremmo aggiungere che, grazie ai casi delle persone
non curabili con le comuni metodiche descritte in letteratura e presentate
in questa sintesi, riteniamo da un lato di avere restituito ai pazienti la
dignità della propria individualità, dall’altro di aver ritrovato il
senso dell’arte medica.
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